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Astronomo, sommelier, appassionato di montagna e di videogames, quando posso mi diverto a parlare e discutere di politica.

"Caminante, no hay camino, se hace camino al andar"

domenica 1 aprile 2012

Le ramificazioni miliardarie dell'affare F-35 e la necessaria lotta al populismo


Ricostruire la storia delle commesse degli F-35, per  non addetti ai lavori, e' pressoche' impossibile. Una buona sintesi si trova in questo articolo (http://www.investireoggi.it/news/f-35-inizio-della-storia-chi-decise-di-comprare/) che ripercorre alcune delle tappe del percorso dalla sua origine, datata 1993 (governo Clinton in USA), alle prime approvazioni in Italia (1997, governo Prodi). E' proprio questa complessita' che pero' rende necessaria una autentica riflessione sul problema degli investimenti in spese militari, in
particolare in tempi di crisi dove si rischia di scadere in facili, troppo facili espressioni populiste del tipo: 'investire in spese militari e' inutile, fuori l'Italia dal programma F-35'.

Se fosse stato tutto cosi semplice, non avremmo piu' avuto guerre, da anni.

Sono stanco del populismo, di destra ma, sopratutto, della nuova, presunta sinistra. Sono stanco del dire no a ragioni ovvie, oserei dire quasi 'cristiane'. Sfido chiunque a dire che investire miliardi in caccia bombardieri e missili a lungo raggio assicuri un futuro di pace e stabilita' per tutti.

Vorrei alimentare un dibattito che si spostasse, finalmente, in proposte, costruttive, alternative.
Ed arriviamo agli F-35. L' Italia e' partner di "secondo livello", e come tale ha gia' investito piu' di un
miliardo di euro in ricerca e sviluppo dei prototipi (circa il 5% del totale), assicurando peraltro un acquisto sostanzioso del numero di velivoli che la ditta appaltatrice, la Lockheed Martin, produrra' a regime. I famosi 135 caccia, poi ridotti a 90 dal ministro Di Paola in linea con le scelte del governo USA di tagliare 131 velivoli (sui circa 400 previsti inizialmente). Il tutto a fronte della crisi e delle enormi spese
 non previste del progetto, chea causa di difetti e ritardi sta lievitando ed e' gia' piu' che raddoppiato.

 Ma questo non basta ancora, e ci sono due aspetti cavalcati da chi e' contro questo progetto, di assoluta,
 apparente agguingo io, rilevanza:

1) Seguire l'esempio della Norvegia o della Danimarca, che si sono svincolate (o si stanno per) dal progetto,
dimostrando che ne possiamo uscire, e di dire no allo strapotere USA.

2) Il contratto degli F-35 non prevede penali per la sua rescissione, previo avviso preventivo di 90
giorni (come dichiara Luigi Bobbia, Vice Presidente della Commissione Lavoro alla Camera, PD).

Beh, non ho piu' voglia di populismo:

1) Sia Norvegia che Danimarca sono partner di "terzo livello", e la differenza non e'
solo nominale. Come tali, hanno investito meno dell'1% (rispettivamente 122 e 110 milioni di $), e
hanno un peso realtivo nelle scelte. L'Italia e' di fatto il terzo finanziatore mondiale, dopo USA e
GUK, del progetto F-35. E, sebbene siamo tutti daccordo che il progetto non andava inizialmente finanziato, oggi e' questo lo stato dei fatti. E sul presente si deve ragionare.

2) E' vero, il contratto non prevede penali. Ma basta seguire una delle mille ramificazioni della ragnatela
di contratti in materia, per capire che l'F-35 NON e' un aereo astratto. Le commesse prevedono la costruzione  di alcune arti dell'aereo in Italia, a Cameri, vicino Novara. E' un appalto da centinaia di milioni,  assegnato a Finmeccanica. E qui escono alcune interessanti ramificazioni. Come per esempio, il contratto   appena stipulato da Alenia Aermacchi, una controllata di FinMeccanica, per vendere 30 caccia
  M346-Master a, pensate un po', Israele. E quale e' il legame tra questi due progetti? Beh, basti pensare,
  per esempio, che Israele acquistera' questi caccia, per una spesa compelssiva di diverse centinaia di milioni   di dollari, grazie ad un contributo del 25% del fondo US foreign military financing (FMF). Che, tradotto,  e' il fondo che gli USA mettono a disposizione come aiuti militari ai propri alleati. Ovviamente, il prezzo  dello scambio prevede anche che alcuni dei componenti degli M346 vengano prodotti in USA, ed ecco che quei  soldi (pubblici) che escono dagli USA, rientrano, puliti, in forma di commesse per aziende (private).
 
E questo e' solo una delle possibili ramificazioni, che la rete ci aiuta a rcostruire al prezzo di un pomeriggio di ricerche. E' sempre meno della mezzora di un telegiornale. Ma e' immensamente di piu' il ricavo che si ha in termini di presa di coscienza.

E veniamo quindi al passaggio successivo. Vogliamo davvero che l'Italia non investa piu' in questo folle progetto? Non serve a nulla dire 'no'. Serve andare da Finmeccanica. Con un PROGETTO ALTERNATIVO. Presentare una idea di industria avionica, orientata all'investimento in tecnologia a scopi CIVILI. Ma serve un progetto che permetta ai previsti 1000 dipendenti che verranno assunti da Finmeccanica a Cameri di avere comunuque quel lavoro. Altrimenti, il cieco no fine a se stesso rimarra' solo uno sfogo, che alla fine ci fa sentire un po' meglio. Ma che non cambia le cose. E non speriamo che siano i dirigenti Finmeccanica a fare questo, badate bene, loro sono dirigenti. Hanno interesse
che l'azienda funzioni. E, ora come ora, queste commesse la fanno funzionare. Non cambieremo queste persone. Le  dobbiamo sostituire. Costruiamo dal basso le idee che ci aspettiamo arrivino dall'alto. Chiediamo agli esperti, che   hanno a cuore 'un mondo diverso' e dicono che sia possibile, di investire tempo in un progetto alternativo. E  presentiamolo, a Finmeccanica cosi come al progetto Italia. Se questo porta ancora guadagni nelle tasche di una azienda,  e di tutte le affiliate le cui commissioni si ramificano, non c'e' ragione per non essere convincenti.
 
 Ma non possiamo, domani, cancellare il progetto F-35. Le ricadute a cascata avrebbero degli effetti devastanti su una  economia gia' fin troppo provata, e su tutti noi. Dobbiamo invece proporre, una alternativa valida. E far capire che l'alternativa la compreremmo e l'appoggeremmo, e ci lavoreremo su se necessario. Gli F-35 no. Ma l'alternativa semplicemente...non c'e'.

  Fino a che non vedro' quella, una risposta da parte mia, pacifista e rispettoso della Costituzione (e del suo articolo 11), non seguirò' nessuna voce populista e disfattista. Apriamo un tavolo, NOI che vogliamo qualcosa di diverso, e PROGETTIAMO.
 
Certo, questo implica impegno, tempo e deidizione, da parte di tutti. E non basta certo un pomeriggio in questo caso.
Ma vogliamo un mondo diverso, o NON vogliamo questo mondo, ed aspettare che qualcuno faccia qualcosa, ma oggi no,  domani forse, ma dopodomani sicuramente?






4 commenti:

Massimo D. L. ha detto...

Ciao Ale'. Ecco il mio punto di vista. La vendita di 30 caccia a Israele (che ha dimostrato più volte di usare le armi in maniera irresponsabile), che citi come argomento a favore, a me sembra già di per sé un motivo più che sufficiente per mandare tutto a monte.

Vuoi un progetto immediato e che non puo' essere tacciato di populismo? Eccolo: usare gli stessi soldi per ridurre la richiesta anticipata dell'iva alle piccole imprese, che non vedranno pagate le loro fatture fino a chissà quando, ma che intanto devono pagare le tasse anticipando un possibile guadagno. Cosi' forse si ridurrà la catena di insolvenze e il numero di imprenditori suicidi, con conseguenti chiusure di aziende.
Secondo me l'unica via per cambiare il mondo è scegliere meglio dove mettere i soldi. Se oggi sovvenzioni le armi dovrai farlo anche domani, altrimenti queste società che non hanno chiuso oggi chiuderanno domani; poi dopodomani e dopodomani ancora. Cosi' ci troveremo con un mare di armi di cui non sappiamo che farcene. Sarà un secolo che sovvenzioniamo la fiat e siamo costretti a continuare a farlo (?) anche se la gente non ha soldi per comprarsi la macchina nuova o pagarsi la benzina.

Detto questo, secondo me il vero motivo di queste spese è un altro. E forse, purtroppo, è piuttosto valido; ma non sta bene parlarne nelle democrazie ipocrite come quelle occidentali. Noi ci aspettiamo che i nostri interessi all'estero vengano spalleggiati da qualcuno che abbia un peso politico garantito dalla potenza militare, per non parlare dell'aspettativa che quel qualcuno ci protegga in caso di eventuali conflitti. In cambio, quello stesso qualcuno si aspetta che facciamo, di tanto in tanto, la spesa da lui. Qundi quello che paghiamo non sono quattro aeroplani, ma il pizzo per la protezione. Da questo punto di vista la spesa mi appare meno folle e ci penserei due volte prima di disdire le commesse.

Massimo

Alessio Traficante ha detto...

Ciao Massimo.
Dunque, d'accordissimo con te. E hai centrato il punto...che noi con compriamo aeroplani, di per se', ma paghiamo il pizzo e creiamo scambi commerciali, ovvero assicuriamo al suo mercato di continuare ad esistere, in cambio della copertura militare. Ed e' questo il nodo. Vorrei che si cominciasse a parlare di questo scambio, e di cambiare questo scambio, quando si affrontano questi argomenti. Perché' c'e' qualcosa di malato in un mercato la cui merce principale di scambio son gli armamenti e le coperture militari. Vogliamo rompere questa spirale? Allora pensiamo investimenti alternativi per le nostre fabbriche...e svincoliamoci da questo meccanismo. Ma questo significa, ed e' questa la novità' fondamentale di una stagione politica troppo silneziosa, proporre.

I passaggi sono delicati, difficili, impegnativi. Come noti anche tu, girare gli investimenti dei caccia in riduzione IVA, avrebbe degli effetti collaterali molto delicati. A meno che, non proponiamo investimenti alternativi alle fabbriche interessate E non otteniamo la collaborazione degli Stati che ci assicurano la protezione militare, e di cui oggi nella 'real-politik' non ne possiamo fare a meno, per quanto nella 'politica ideale' si.

Per cambiare le regole del mercato così come esiste oggi, o, meglio: per scrivere queste regole, si deve essere propositivi. Faccio un esempio: investiamo in ricerca e sviluppo, magari come Europa, 10 volte tanto quanto facciamo oggi nell'avionica civile (per seguire l'esempio del post). Da qui a pochi anni, saranno gli Stati Uniti ad aver bisogno della nostra tecnologia. E al contempo le fabbriche in questione continuerebbero ad avere commesse, solo 'riconvertite' al civile. Si può' fare? Non si può' fare? Servono esperti per dircelo, e politici per raccontarlo a tutti. I primi non dubito che esistano, per i secondi, al contrario, mi permetto di avere delle riserve. Siamo in una fase storica, in Italia e non solo, possiamo creare una classe politica che sia pronta a scrivere nuove regole. Il punto e' che può anche approfittare della crisi per conquistare consensi a suon di populismo. E questo oggi e' quello che mi spaventa di più'. E per rimanere in argomento, quando sentirò' un politico parlare contro questo investimento 'proponendone' uno alternativo, ci avviciniamo verso un futuro nuovo. Quando sento dire 'stop agli investimenti di guerra', e nulla più', mi e' sempre più' chiaro perché sono e resto convinto che gli ideali comunisti e socialisti siano i più' belli, ma Candido di Voltaire, alla fine, e' morto pure lui...

Massimo D.L. ha detto...

In principio sono perfettamente d'accordo e spero che il tuo modo di pensare si diffonda. E soprattutto che la maggiore consapevolezza che anche tu alimenti forzi i politici a uscire allo scoperto da certe ipocrisie.

Considera però anche un altro fattore che viene spesso sottovalutato: in questo genere di traffici, di solito, gli investimenti li fanno gli stati, manovrati più o meno apertamente, ma chi ci guadagna sono i privati! Immagino sia la Lochead, o come si chiama, a spingere il governo USA a investire, affinché il guadagno, alla fine, venga a loro. Gli Americani, inteso come popolo, non hanno probabilmente alcun interesse. Il che vuol dire che probabilmente il gioco: "proponiamo investimenti alternativi alle fabbriche interessate e otteniamo la collaborazione degli Stati che ci assicurano la protezione militare" non credo funzioni. Non puoi proporre loro: "OK, voi ci proteggete e noi vi compriamo più hamburger".

Massimo

Alessio Traficante ha detto...

Gia'...altro punto all'ordine del giorno nella politica odierna: dove e' la differenza tra stato e privati? In USA poi, il discorso e' ancora più' acceso, visto il contributo diretto dei finanziatori alle campagne elettorali, che non lo fanno certo per spirito di sacrificio verso la patria...

in effetti la proposta, così nuda e cruda, non regge, convengo :P E peraltro, rinsalda l'ipotesi iniziale, la complessita' di soluzioni che deve andare oltre l'idealismo.

La soluzione da proporre, come al solito, risiede nel mezzo: le aziende non dovrebbero avere più' tale strapotere sulla vita dei cittadini, e del mercato con delle regole deve portare a questo. Allo stesso tempo, aziende produttive sono anche un bene e nulla vieta a quelle aziende stesse di investire più' nel civile e meno nel militare.

Ma ancora una volta cadiamo nella complessità' del mondo reale. Le tensioni esistono, le guerre, possibili e future, pure. E ribadisco che internet, un mondo globale, sono la via per unificare e portare, lentamente, ad un disarmo su scala mondiale. Intanto, potremmo limitare (e di molto) i danni, con della real-politik che proponga investimenti civili e di green economy come merce di scambio alternativa. Anche il solo proporlo, sarebbe già' un primo, epocale, passo che l'Europa, per le sue radici e la sua storia, se si svegliasse potrebbe anche compiere.